Libertà o sicurezza? Trasparenza o privacy? Uomo o macchina? Accentramento o decentramento del potere? Lavoro o vita personale? Apertura verso il diverso o rafforzamento della identità culturale? Egoismo o altruismo? Flessibilità o appartenenza? Vecchi o giovani? Lungo periodo o beve periodo? Pianificazione o sperimentazione? Salute o occupazione? Velocità o ponderazione? Stato o mercato? Individuo o organizzazione? Gerarchia o rete? Personalizzazione o standardizzazione?
Potremmo aggiungerne tanti altri, perché non c’è fine alla lista dei dilemmi con cui ci confrontiamo in questa epoca, non solo se sediamo nella stanza dei bottoni, ma anche se lavoriamo tutti i giorni con ruoli gestionali e organizzativi nelle aziende. Riemergono vecchi dilemmi e ne nascono di nuovi. Morali, sociali, organizzativi, economici, gli ambiti di scelta tra opzioni opposte e purtuttavia legittime pongono l’uomo di fronte a nuove complessità.
In uno scenario di cambiamenti rapidi, non vi sono più paradigmi stabili e lineari. Tutto si fa più veloce, vulnerabile, cangiante, atipico, circolare. Ambiguo. Le risorse sono sempre più scarse per un mondo sempre più popoloso e differenziato e nuove strategie di generazione e distribuzione della ricchezza e delle opportunità diventano urgenti.
La gabbia di ferro weberiana, che costringeva l’uomo in un sistema di vincoli e legami gerarchici e burocratici, tende a rompersi lasciando spazio a reti di connessione aperte, variabili ed effimere. Ma nel frattempo il sistema di norme e di sanzioni, scritte e non scritte, si fa più articolato e cogente.
Muoversi e agire dentro i dilemmi chiama in causa la capacità di scegliere, di decidere, implica una presa di posizione, vuol dire abbandonare una comoda neutralità. Significa riuscire ad accettare che esistono terze vie, più innovative e capaci di assorbire le tensioni. Significa aprire il proprio foro interno, interrogarsi, alzare lo sguardo e agire, con coraggio, secondo le proprie scelte.
La lealtà verso la propria organizzazione diventa una issue fondamentale che non passa più solo attraverso il sinallagma contrattuale, ma soprattutto attraverso la convergenza profonda d’intenti, dove la frattura tra le due morali (per dirla con il sociologo americano Neil Fligstein) di uomo-cittadino da un lato e dipendente d’altro viene superata facendo appello a istanze collettive di natura superiore.
La persona al centro
Non esistono ricette per gestire tutto questo. Né modelli prescrittivi. La letteratura manageriale degli ultimi 50 anni, che si è concentrata prioritariamente sul miglioramento dei comportamenti organizzativi, al di là dei fini, e sulla loro coerenza con modelli di competenze e skill tecnico comportamentali definiti top-down, ha aiutato molto nella creazione di una classe di persone capaci di comportarsi adeguatamente nelle organizzazioni, e di conciliare le esigenze individuali con quelle aziendali, dati certi set di risorse. Ma ci stiamo accorgendo che questo non basta più.
Oggi che la competizione per le risorse si fa più difficile, le persone e le aziende vanno aiutate a convivere con questi dilemmi, riconoscendoli e superandoli. A determinare le regole e a partecipare attivamente all’evoluzione del contesto. A prendere in mano la responsabilità di giocare un ruolo attivo nella società. A diventare consapevoli, riflessivi, responsabili e attivi.
A diventare, davvero, attori politici e sociali.
La persona assume quindi ancora di più un ruolo centrale. La persona nella comunità, che partecipa alla vita organizzativa, corre sempre più velocemente per raggiugere i suoi obiettivi, ambisce alla soddisfazione personale, al significato delle proprie azioni e all’integrità personale.
“Dilemmi Moderni”, quindi, è il titolo che abbiamo voluto dare a questa rubrica di formaFuturi, all’interno della sezione “Il Coraggio dell’Utopia”.
“Dilemmi moderni” raccoglierà riflessioni, testimonianze, casi vissuti che ci aiuteranno, con il contributo di tutta la comunità di ASFOR e APAFORM, a raccoglierli e vederli dal vivo, questi dilemmi, e a capire come vengono superati, a quali costi, con quali motivazioni, con quali traiettorie di lavoro.
Perché abbiamo voglia, noi che ci occupiamo di formazione della classe dirigente, di capire, di andare oltre le ricette e l’ovvio, e alzare l’asticella della consapevolezza, perché crediamo che solo grazie a gradi crescenti di consapevolezza e responsabilità, le aziende e le organizzazioni confermeranno la loro funzione di luoghi di integrazione, benessere e progresso.